MALATI REUMATICI, TRE ANNI PER UNA DIAGNOSI
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MALATI REUMATICI, TRE ANNI PER UNA DIAGNOSI
di SALUTE indagine Doxa-Pharma sulla spondiloartrite
Malati reumatici, tre anni per una diagnosi
I pazienti affrontano la «via crucis» da uno specialista all'altro, dopo la prima tappa dal medico di famiglia
MILANO - Comincia tutto con un mal di schiena insidioso e persistente, che compare di notte e irrigidisce i movimenti al mattino: magari si allevia con i farmaci antinfiammatori, ma è sempre lì. È la molla che fa scattare la "via crucis" da uno specialista all'altro, dopo la prima tappa "obbligata" dal medico di famiglia. Un percorso che dura in media 3 anni. Più di mille giorni per svelare a un paziente la fonte dei suoi dolori: spondiloartrite. Un tempo che si allunga al Sud fino a quasi 4 anni e che in casi estremi, per il 6% dei malati, supera i 10 anni. È il mondo sommerso delle persone che convivono con queste patologie reumatiche, portato a galla nell'ambito di un progetto dal nome evocativo, 'Atlantis', ideato dall'Associazione nazionale malati reumatici (Anmar).
I NUMERI - Al centro una ricerca condotta in 18 regioni in collaborazione con Doxa-Pharma, su un campione di 770 pazienti con età media di 50 anni, colpiti in prevalenza da spondilite anchilosante (39%) e artrite psoriasica (36%). L'obiettivo era fotografare con numeri certi l'impatto delle spondiloartriti sulla qualità della vita dei pazienti e il loro vissuto. Secondo l'indagine, presentata a Milano, il 35% delle persone con spondiloartriti arriva alla diagnosi entro 6 mesi dalla comparsa dei sintomi; per il 16% passa fino a un anno e per il 12% da uno a 2 anni, ma per gli altri (in tutto il 29%) i tempi sono ben più lunghi e si arriva fino a un 6% di pazienti che vagano anche per oltre 10 anni in cerca di una diagnosi certa. I tempi variano anche a seconda della collocazione geografica: la media va dai 2,6 anni del Nord-Ovest ai 3,8 anni di Sud e Isole. Il copione è sempre lo stesso e lo racconta Gabriella Voltan, presidente dell'Anmar: «La mia esperienza personale è molto comune. Prima c'è la tappa dal medico di famiglia. Passano così 6 mesi in cui si assumono diversi farmaci e poi quando la situazione non accenna a migliorare vieni inviato il più delle volte dall'ortopedico. Fallito anche questo tentativo è la volta del fisiatra. Quando anche la fisioterapia viene depennata dalla lista, si approda nello studio di un reumatologo. E in questi passaggi si perdono uno o due anni. È qui che la rete non funziona».
PRIVATI - L'indagine conferma che il paziente bussa a più porte prima di arrivare a conoscere la sua malattia. Ma emerge anche un altro dato: il 67%, spiegano gli autori della ricerca, si è rivolto a un reumatologo privato, piuttosto che al pubblico, per abbreviare i tempi di accesso e consultazione. La lista degli specialisti a cui approdano i pazienti a caccia di diagnosi è lunga e va dall'oculista al dermatologo. Ma il "verdetto" definitivo arriva nell'83% dei casi dal reumatologo. Quando il camice bianco pronuncia il nome della malattia, 7 pazienti su 10 non ne hanno mai sentito parlare. Il 91% è stato sottoposto a esami specifici (Ves per l'83%, Pcr per il 79%, Raggi X per il 72%, Risonanza magnetica per il 57% ed esami di laboratorio Hla-B-C per il 55%) per arrivare alla diagnosi finale. Il 56% delle persone intervistate è in trattamento con farmaci biologici, altrettanti con antinfiammatori e/o antidolorifici. E si registrano casi di abbandono della terapia. È capitato a circa un paziente su 4, nel 38% dei casi in accordo con il medico, ma nel 23% per scelta personale. Il motivo: «Mi sentivo meglio».
I COSTI - La malattia colpisce persone giovani e pesa sulla qualità della vita, sul lavoro e sulla produttività, sulle relazioni personali, ma anche sul portafoglio: dall'analisi emerge che la spesa media per farmaci, visite specialistiche, prodotti cosmetici specifici e altro si attesta intorno a 145 euro al mese (chi sta peggio arriva anche a quota 172 euro), ovvero circa 1.560 euro all'anno. Si spende di più nel centro Italia (182 euro) e fra le malattie la più dispendiosa risulta essere la spondilite anchilosante per la quale sono necessari 174 euro al mese, rispetto all'artrite psoriasica per cui si scende a 138 euro.
DIAGNOSI - «I dati emersi nell'ambito del progetto "Atlantis" pongono l'attenzione su un problema fondamentale in reumatologia: la difficoltà ad attuare una diagnosi precoce per carenza o mancanza della rete assistenziale reumatologica sul territorio italiano», commenta Giovanni Minisola, past president della Società italiana di reumatologia (Sir) e direttore della Divisione di reumatologia dell'ospedale San Camillo di Roma. «Diagnosi precoce - conclude - la cui importanza è sottolineata da un dato drammatico: se si considerano le patologie reumatiche a più alto potenziale invalidante, nel 10% dei casi si registra uno stato di invalidità lavorativa totale e permanente dopo solo 2 anni dall'insorgenza, nel 30% dopo 5 anni, e nel 50% dopo 10 anni. Le ricadute negative quanto a perdita di capacità lavorativa e ridotta produttività dei soggetti colpiti rappresentano un problema socio-economico che in questo momento critico per il nostro Paese non possono e non devono essere trascurate o sottovalutate dalle istituzioni».
5 giugno 2013 (modifica il 13 giugno 2013)
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Malati reumatici, tre anni per una diagnosi
I pazienti affrontano la «via crucis» da uno specialista all'altro, dopo la prima tappa dal medico di famiglia
MILANO - Comincia tutto con un mal di schiena insidioso e persistente, che compare di notte e irrigidisce i movimenti al mattino: magari si allevia con i farmaci antinfiammatori, ma è sempre lì. È la molla che fa scattare la "via crucis" da uno specialista all'altro, dopo la prima tappa "obbligata" dal medico di famiglia. Un percorso che dura in media 3 anni. Più di mille giorni per svelare a un paziente la fonte dei suoi dolori: spondiloartrite. Un tempo che si allunga al Sud fino a quasi 4 anni e che in casi estremi, per il 6% dei malati, supera i 10 anni. È il mondo sommerso delle persone che convivono con queste patologie reumatiche, portato a galla nell'ambito di un progetto dal nome evocativo, 'Atlantis', ideato dall'Associazione nazionale malati reumatici (Anmar).
I NUMERI - Al centro una ricerca condotta in 18 regioni in collaborazione con Doxa-Pharma, su un campione di 770 pazienti con età media di 50 anni, colpiti in prevalenza da spondilite anchilosante (39%) e artrite psoriasica (36%). L'obiettivo era fotografare con numeri certi l'impatto delle spondiloartriti sulla qualità della vita dei pazienti e il loro vissuto. Secondo l'indagine, presentata a Milano, il 35% delle persone con spondiloartriti arriva alla diagnosi entro 6 mesi dalla comparsa dei sintomi; per il 16% passa fino a un anno e per il 12% da uno a 2 anni, ma per gli altri (in tutto il 29%) i tempi sono ben più lunghi e si arriva fino a un 6% di pazienti che vagano anche per oltre 10 anni in cerca di una diagnosi certa. I tempi variano anche a seconda della collocazione geografica: la media va dai 2,6 anni del Nord-Ovest ai 3,8 anni di Sud e Isole. Il copione è sempre lo stesso e lo racconta Gabriella Voltan, presidente dell'Anmar: «La mia esperienza personale è molto comune. Prima c'è la tappa dal medico di famiglia. Passano così 6 mesi in cui si assumono diversi farmaci e poi quando la situazione non accenna a migliorare vieni inviato il più delle volte dall'ortopedico. Fallito anche questo tentativo è la volta del fisiatra. Quando anche la fisioterapia viene depennata dalla lista, si approda nello studio di un reumatologo. E in questi passaggi si perdono uno o due anni. È qui che la rete non funziona».
PRIVATI - L'indagine conferma che il paziente bussa a più porte prima di arrivare a conoscere la sua malattia. Ma emerge anche un altro dato: il 67%, spiegano gli autori della ricerca, si è rivolto a un reumatologo privato, piuttosto che al pubblico, per abbreviare i tempi di accesso e consultazione. La lista degli specialisti a cui approdano i pazienti a caccia di diagnosi è lunga e va dall'oculista al dermatologo. Ma il "verdetto" definitivo arriva nell'83% dei casi dal reumatologo. Quando il camice bianco pronuncia il nome della malattia, 7 pazienti su 10 non ne hanno mai sentito parlare. Il 91% è stato sottoposto a esami specifici (Ves per l'83%, Pcr per il 79%, Raggi X per il 72%, Risonanza magnetica per il 57% ed esami di laboratorio Hla-B-C per il 55%) per arrivare alla diagnosi finale. Il 56% delle persone intervistate è in trattamento con farmaci biologici, altrettanti con antinfiammatori e/o antidolorifici. E si registrano casi di abbandono della terapia. È capitato a circa un paziente su 4, nel 38% dei casi in accordo con il medico, ma nel 23% per scelta personale. Il motivo: «Mi sentivo meglio».
I COSTI - La malattia colpisce persone giovani e pesa sulla qualità della vita, sul lavoro e sulla produttività, sulle relazioni personali, ma anche sul portafoglio: dall'analisi emerge che la spesa media per farmaci, visite specialistiche, prodotti cosmetici specifici e altro si attesta intorno a 145 euro al mese (chi sta peggio arriva anche a quota 172 euro), ovvero circa 1.560 euro all'anno. Si spende di più nel centro Italia (182 euro) e fra le malattie la più dispendiosa risulta essere la spondilite anchilosante per la quale sono necessari 174 euro al mese, rispetto all'artrite psoriasica per cui si scende a 138 euro.
DIAGNOSI - «I dati emersi nell'ambito del progetto "Atlantis" pongono l'attenzione su un problema fondamentale in reumatologia: la difficoltà ad attuare una diagnosi precoce per carenza o mancanza della rete assistenziale reumatologica sul territorio italiano», commenta Giovanni Minisola, past president della Società italiana di reumatologia (Sir) e direttore della Divisione di reumatologia dell'ospedale San Camillo di Roma. «Diagnosi precoce - conclude - la cui importanza è sottolineata da un dato drammatico: se si considerano le patologie reumatiche a più alto potenziale invalidante, nel 10% dei casi si registra uno stato di invalidità lavorativa totale e permanente dopo solo 2 anni dall'insorgenza, nel 30% dopo 5 anni, e nel 50% dopo 10 anni. Le ricadute negative quanto a perdita di capacità lavorativa e ridotta produttività dei soggetti colpiti rappresentano un problema socio-economico che in questo momento critico per il nostro Paese non possono e non devono essere trascurate o sottovalutate dalle istituzioni».
5 giugno 2013 (modifica il 13 giugno 2013)
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